I PASdaran del Patriarcato

La negazione della violenza e la “strategia del discredito”.

(Intervento al Congresso “Madri strappate”, Dimensione Pas: danni e conseguenze sui bambini)

 

“La ragione più probabile del rifiuto di un bambino verso un genitore è il comportamento del genitore stesso: etichette come la PAS servono a sviare l’attenzione da questi comportamenti.” (Vaccaro e Barea, 2011)

Tale affermazione, basata su studi ed esperienza professionale, nei nostri tribunali fatica – per usare un eufemismo – a trovare legittimazione.  

Anzi, molto spesso viene completamente ignorata. 

Perché? 

Prima anomalia.

Alienazione parentale. Al contrario, si preferisce pensare che il rifiuto di un figlio sia dovuto ad un problema relazionale della triade “madre-figlio-padre”, in cui un genitore (alienante) manipola un/i figli inducendoli a rifiutare l’altro (alienato).

Tale disfunzionalità, in realtà, è poco frequente anzi potremmo considerarla un’eccezione (le statistiche sono chiare al riguardo), ergo, la domanda che ci dobbiamo fare è: “come mai un’eccezione (di cui si dovrebbe indagare in maniera approfondita le cause) è diventata nei nostri Tribunali la regola?

Seconda anomalia.

Di contro, alienare il genitore accudente sembra essere diventata la mission principale per i Giudici dei tribunali civili e di tutto il sistema afferente. 

Gli studi, mostrano/confermano ciò che è senso comune: i figli hanno un genitore «preferito» (senza per questo cancellare l’altro), sulla base di considerazioni personali formatesi nell’arco esperienziale. 

La scelta dello stesso avverrebbe secondo criteri “meritocratici”, che potremmo riassumere in una presenza reale e sostanziale del genitore negli avvenimenti emotivamente rilevanti nella vita del figlio. 

In altre parole, si «parteggia» per il genitore più accudente. 

Ora, il sistema e tutti gli attori coinvolti (Giudici, Avvocati, Curatori, Servizi Sociali, Consulenti di ufficio e di parte), ignorano tutto questo per una – intollerabile – mancanza di formazione…o c’è dell’altro?  

Aggiungo, nei casi in cui la separazione non sia dovuta all’esaurimento della coppia; quando – invece del fisiologico e temporaneo conflitto – si profila una situazione di violenza domestica-maltrattamenti-abusi, il significato del rifiuto di un figlio assume un’altra valenza o no? A quanto pare, no. 

Anzi, assistiamo ad un ribaltamento della situazione.  

Terza anomalia.

In una ricerca effettuata (ma MAI pubblicata) da Camerini et al. (2010), su un campione esiguo (53) di famiglie definite “conflittuali” (?), in cui vi erano ipotesi di abusi sessuali, veniva posto in evidenza come, nel 92,4%, queste fossero risultate infondate, a seguito di un archiviazione, di un proscioglimento o di un’assoluzione in giudizio, insinuando un utilizzo pretestuoso di tali accuse e la manipolazione delle presunte vittime. 

A parte la disinvoltura nel presentare dati non validati e statisticamente irrilevanti come se fossero il Verbo, anche raggruppare arbitrariamente tre esiti diversi non appare un’operazione – statisticamente parlando – corretta. 

Per essere più chiari.  

Denuncia infondata: si basa su un errata convinzione (quindi in buona fede) che il bambino possa essere stato vittima di un abuso (ad esempio, rilevare alcuni segni sul corpo compatibili con maltrattamenti ma anche con incidenti fortuiti o malattie);

Denuncia falsa: accuse mosse intenzionalmente con l’obiettivo di ostacolare il rapporto tra il genitore denunciato e il figlio;

Queste due tipologie sono poco frequenti e – probabilmente – da sole non avrebbero una rilevanza statistica.   

Archiviazione: denuncia non provata. Quando la rivelazione del minore/vittima non è sufficientemente probante. (cfr. Apollonio, Crisma, 2021) Il Pm, in questo caso, pur ravvisando la veridicità della testimonianza, si ritrova senza elementi in grado di suffragarla e – giocoforza – ad archiviare. 

La difficoltà di chi denuncia (minore, donna, anziano) una violenza avvenuta in una relazione intima (quali sono la violenza domestica; maltrattamenti; abusi), in cui le parti coinvolte si conoscono e sono affettivamente legate, è nota a tutti (tranne agli attori citati evidentemente) e – nella quasi totalità – avviene tra le mura domestiche, senza testimoni. 

L’alto, singolare numero di Archiviazioni è dovuto essenzialmente a questo.  

A tale proposito, qualche piccolo consiglio dettato dall’esperienza.

Prima di sporgere denuncia è necessario (anche se non sufficiente) consultarsi con un legale (magari farsi accompagnare dallo stesso o da un’Associazione) ed essere in grado di esporre in maniera coerente e circostanziata. 

Nel tempo, integrare la stessa ogniqualvolta ve ne siano i motivi (sottolineo integrare non fare una nuova denuncia).    

Spesso le vittime, proprio a causa di ciò che hanno subìto (mesi, anni, vite intere) si trovano impreparate ed oltremodo esposte ad ulteriore vittimizzazione.

Una condizione che io definisco «andare in guerra con le mani legate dietro la schiena».

Il supporto psicologico rende possibile una migliore comprensione del vissuto, nuove consapevolezze. 

Tale lavoro consente il riaffiorare di ricordi preziosissimi e per l’avvocato e per un PM che potrebbe, così, avere a disposizione un quadro accusatorio e probatorio più ampio e concreto… e non essere costretto ad archiviare.

La seguente affermazione dell’American Psychological Association (1996), si basa su numeri statisticamente rilevanti, validati e longitudinali:

«Contrariamente a quanto diffusamente creduto, i risultati delle ricerche suggeriscono che le denunce di abuso sessuale non aumentano in fase di separazione e si verificano solo nel 2-3% dei casi.» 

Tradotto: le denunce sono costanti nel tempo, dentro e fuori dalla relazione familiare, ergo, l’affermazione di un uso strumentale della denuncia non corrisponde al vero.

Di contro, le cause più frequenti di separazione/divorzio sono la violenza domestica, i maltrattamenti, gli abusi sui bambini.

Quarta anomalia.

«Chi sospetta o denuncia abusi sui minori, soprattutto se si tratta di madri, incontra difficoltà enormi e rischia di essere a sua volta accusato di mentire o di manipolare.» (Commissione Diritti Umani ONU, 2004)

«…molti individui…in particolare nella magistratura, negano…l’esistenza e l’ampiezza del fenomeno, incapaci di accettare che molte delle accuse di abuso sessuale possano essere vere.» (cfr. Rapporteur Petit, 2004)   

Il concetto di Alienazione Parentale – e una serie di derivati venuti fuori come funghi – rischiano quindi di oscurare la realtà degli abusi sessuali; dei maltrattamenti; della violenza assistita, inducendo il nostro sistema giudiziario a non attribuire credibilità alla vittima (e all’eventuale denunciante), lasciandola in balìa del genitore maltrattante e privandola del genitore accudente. (cfr. Apollonio, Crisma, 2021)    

Psicologi forensi. I professionisti dovrebbero non solo essere adeguatamente formati e aggiornati, ma anche operare con attenzione etica ai diritti degli utenti, grandi e piccoli. 

In primis, il diritto a un ascolto empatico e attento nonché al rispetto dei loro vissuti.

Devono fare riferimento alla normativa nazionale e internazionale ed evitare l’utilizzo di concetti non solo non validati scientificamente, ma anche apertamente in violazione di alcune leggi “Faro” come la Convenzione di Istanbul.

Quinta anomalia.

La strategia del discredito. Ma poi, quali dovrebbero essere i comportamenti che un «genitore rifiutato» vorrebbe occultare? 

La gamma è ampia. 

Si va da una «generica» inadeguatezza (assenza, disattenzione, scarsa comunicazione, scarsa condivisione) fino ai reati di violenza domestica, maltrattamenti, abusi.

C’è un mondo di violenza pressoché sommerso che fatica a venire fuori anche grazie ad una serie di «forze» in campo, occulte e no, detentrici di potere economico, politico e istituzionale, che agiscono a «ranghi serrati» per difendere privilegi e impunità di vario tipo.        

Un esempio di come queste agiscono, sembra essere la vicenda giudiziaria che si sta svolgendo da anni, che vede coinvolti i Servizi Sociali e il sistema di affido del comune di Bibbiano, accusati di avere redatto o agevolato (amministrazione comunale) false relazioni (con accuse di molestie sessuali) per allontanare bambini dalle loro famiglie ed affidarli a coppie di conoscenti.

A distanza di anni, faticosamente, sta venendo fuori un‘altra verità.

Si sta profilando l’esistenza di una rodata «macchina del discredito» e una magistrale operazione di mistificazione, con la complicità (volontaria o no) dei media nonché di una certa politica (che si esibiva con magliette e cartelli), per delegittimare chi – in realtà – stava facendo il suo dovere, cercando di tutelare minori in pericolo. 

Come è stato possibile? Si intendeva proteggere qualcuno? Una rete di “qualcuno”?

Vi invito a riflettere con onestà intellettuale.

Un indizio (uno dei tanti). E’ solo di pochi giorni fa, l’ultima, ennesima scoperta (grazie ad una madre) di una chat di gruppo su what’sApp in cui più di 600 ragazzini di 12-13 anni, a rischio di adescamento, sono stati inondati da immagini pedopornografiche esplicite e violente.

Infine, per rispondere alla domanda del perché – in questo paese – la negazione della violenza su donne e minori è prassi… è molto semplice, banalmente semplice.

Detti comportamenti criminali sono, da secoli “culturalmente accettati” in quanto agiti da individui che appartengono alla classe sociale che detiene il Potere in ogni sua accezione (politico, economico, istituzionale, legislativo). 

Li abbiamo (come Società) interiorizzati a tal punto che, per ammettere l’esistenza di un fenomeno così esteso (da non poter giustificare con il fisiologico “mostro” di turno) occorrerebbe una presa d’atto e un’assunzione di responsabilità che richiedono molto coraggio e consapevolezza.

Invece preferiamo negare. E’ più facile e non costa niente (tranne la morte della propria coscienza morale). 

Figuriamoci se ce lo possiamo aspettare dagli agenti reato. 

E’ molto più facile ribaltare tutto (usando il potere a disposizione), dare la colpa alle vittime, a chi le protegge… e delegittimare chiunque se ne intenda fare carico. 

Quali dovrebbero essere i nostri obiettivi?  

  • Abolire i privilegi e condannarli socialmente; 
  • Combattere le discriminazioni; 
  • Politiche inclusive e paritarie;
  • Nuovi modelli di organizzazione sociale basati sull’uguaglianza e il rispetto delle differenze.

Una società di persone libere. 

PierAnna Pischedda, Psicologa

                       

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