La statua, il dipinto, la clinica … tre facce della stessa medaglia (1)

Prima di catapultarmi nelle incombenze giornaliere, mentre le orecchie ascoltano una preziosa rassegna stampa di una valente giornalista, con gli occhi ne eseguo una personale sui social. Mi colpiscono in maniera particolare tre post, apparentemente diversi tra loro ma, in questa mattinata grigia e per niente luminosa a me appaiono particolarmente chiari.

Il primo, riguarda la polemica sulla statua data in dono (a Milano) e ritenuta non rappresentativa di “valori universalmente condivisibili” per essere esposta in un luogo pubblico.

Mi rendo conto come, ancora una volta, la modalità di comunicare e un uso particolare delle parole (voluto o no) possano stravolgere/mistificare l’accaduto fino a ribaltare la realtà (un problema serissimo e pericoloso per la nostra democrazia).

Confesso di essere caduta per un attimo in quello che – da quando sono sbarcata sui social – mi sono ripromessa di non fare ovvero farmi irretire da un titolo e commentare prima di verificare.

Infatti, quando la notizia (qualche giorno fa) ha cominciato a circolare e nonostante la statua non mi piacesse (ma questo non ne sminuisce certo valore e bellezza) ho voluto dire la mia, polemizzando sul significato del termine “divisivo”, per scoprire in un secondo momento che i termini utilizzati fossero stati altri.

Dopodiché, ho voluto dare un nome alla sensazione poco piacevole provata nel vedere l’opera.

In sintesi, il moto istintivo (fastidio) provato sta nell’avere assistito all’ennesima cristallizzazione di una procreazione ricondotta sempre e solo alla maternità … e di una Donna prigioniera della stessa.

Sarà (anche) per questo che il dibattito sulla genitorialità rimane –  in questo paese – al palo, tranne nei casi di separazioni e divorzi, quando assurge a valori altissimi.

Completamente ignorato – invece –  quando è il momento di pensare politiche familiari degne di essere chiamate tali.

Nel contempo siamo a tal punto sommersi da rappresentazioni di figure femminili che accudiscono e allattano,che una domanda ce la dobbiamo porgere: tale rappresentazione (nei secoli) monotematica,intende realmente celebrare la Donna donatrice di vitae di cura o è un costante ribadire, è solo questo che sei?

La domanda non è pretestuosa, così come è una realtà che in giro esistano poche narrazioni altre sul femminile.

Guarda caso, la polemica che ne è susseguita è stata cavalcata politicamente e sostenuta dalle solite testate “Dio, Patria e Famiglia”.

Tornando a noi, Vi invito a non dare ascolto per un secondo alle “amate” viscere e ad affidarvi, stavolta, ai numeri che – notoriamente – non mentono: nella toponomastica milanese, su 2679 strade, 2.538 sono intitolate ad uomini, 141 a donne. Di queste 141, 112 sono dedicate a Madonne, Sante e benefattrici; 27 a letterate e umaniste e solamente 2 a scienziate.

Tra i motivi della Commissione che, ricordiamo, ha suggerito una diversa collocazione dell’opera, anche questi numeri.

Per me, invece, bastano e avanzano.

Dal canto mio, rimango in paziente attesa di poter ammirare – prima o poi – la statua di un padre, con un bel biberon in mano, impegnato ad allattare il proprio figlio … ne guadagneremmo tutti, Comunità, Uomini, Donne … Figli in primis. 

Nel frattempo, Vi auguro buone riflessioni.

PierAnna Pischedda, Psicologa

                       

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