Genitore preferito, genitore rifiutato…pater familias

Quando una coppia di genitori si separa, i figli si trovano immediatamente nell’occhio del ciclone. 

Innanzitutto, due coniugi/compagni che si lasciano non smettono – per incanto – di essere genitori anzi. 

In realtà, questo succede molto spesso ed è per certi versi sorprendente constatare come la capacità genitoriale non vada di pari passo con la capacità di procreare. 

Generalizzare questo tipo di situazioni raramente è la cosa giusta, però è possibile affermare che per i “componenti” generati dall’unione dei separandi, la fine del menage familiare rappresenti un evento che ha tutte le caratteristiche di un trauma.  

E’ altrettanto vero che – proprio per questo – gli adulti dovrebbero continuare ad esercitare una funzione genitoriale scevra da eventuali dinamiche conflittuali presenti fra loro.

Mettiamo da parte il libro dei sogni e veniamo al dunque.

Il tema è ricorrente: il collocamento e l’affido dei figli. 

Sorvoliamo tutte quelle situazioni dove i genitori (magari con grande sforzo) marciano ancora uniti riguardo al “bene supremo dei figli” e si accordano. 

Concentriamoci invece su quelle situazioni in cui i figli diventano un “bene” conteso, da spartire – nel migliore dei casi – in maniera “salomonica” andando incontro ai desideri/bisogni degli adulti, a dispetto delle necessità dei minori.

L’esperienza ci insegna che solitamente i figli, soprattutto di una determinata fascia d’età, fantasticheranno per molto tempo il ricongiungimento della coppia, anche di fronte ad un evidente nuova “presenza” al fianco di uno o di entrambi.

A fronte di tutto questo, ci chiediamo come sia possibile invece (ed è la prassi) non dare il giusto valore alla volontà dei figli di vivere prevalentemente con uno di loro o quando – addirittura – c’è il rifiuto dell’altro?

Da almeno 15 anni, nei tribunali italiani – a dispetto di leggi e convenzioni internazionali – non solo viene negato al minore lo status di soggetto di diritto, con pensieri e volontà propria, ma la lettura che si fa del rifiuto è sempre e solo una: i figli sono stati manipolati e indotti ad alienare il genitore. 

Il manipolatore? Ovvio: l’altra parte della (ex) coppia, la madre (non si hanno notizie di padri alienanti). 

Un’anomalia, questa, che si va ad aggiungere ad altre nostre “peculiarità”, come il record di denunce archiviate per violenza domestica e le condanne internazionali sulle inadeguatezze/incapacità dei nostri Tribunali di “riconoscere” alcuni specifici reati (violenza domestica; sessuale; abusi; maltrattamenti; pedofilia).  

Ma diamo un’occhiata al frutto del lavoro di studiosi e ricercatori.  

  • Le ricerche dimostrano che i figli hanno un genitore preferito, tale sulla base di una serie di considerazioni personali formatesi nell’arco della loro vita. La scelta del genitore da parte del bambino avverrebbe su criteri di “merito”. Nello specifico, la presenza reale e sostanziale (nel corso degli anni) nella quotidianità, negli avvenimenti emotivamente significativi per il minore. I figli non vorrebbero e non dovrebbero mai trovarsi di fronte a tale scelta ma quando non è possibile fare altrimenti la stessa andrebbe rispettata. Preferire vivere con un genitore non significa assolutamente non amare l’altro, molto più semplicemente, non hanno il dono dell’ubiquità e non possono scindersi. 
  • Ergo, quando un figlio rifiuta un genitore si dovrebbero indagare adeguatamente le motivazioni sottostanti e non liquidarle – di default – come mero tentativo di alienazione parentale (che andrebbe provata non solamente dichiarata) …e se ne dovrebbe chiedere conto al rifiutato. Sempre i dati (non le fantasie) ci dicono che dietro il rifiuto di un figlio, quasi sempre si nasconde un maltrattante, un abusante o nella migliore delle ipotesi, un genitore assente.  Evidentemente, questo non sembra rivestire particolare importanza per gli “addetti ai lavori”. In questo contesto, il rischio che si consegnino vittime innocenti nelle mani di orchi o di genitori inadeguati è altissimo. 
  • Al contrario, si preferisce la soluzione più “economica”, scaricare le colpe sul genitore accudente, definito via via “ostativo”, “malevolo” “simbiotico” (la lista di definizioni è lunga); nei casi in cui non ci si può appigliare a nient’altro anche “troppo capace”. 

Dulcis in fundo, l’interpretazione distorta della legge 54/2006 sull’affido condiviso ha seriamente compromesso lo stato di diritto di donne e bambini, riportando indietro questo paese ai tempi del “pater familias”, titolare delle potestà su persone e cose. 

Se però vogliamo intestare tale disastro esclusivamente alla patologia del sistema (o alle mancanze di qualcuno) siamo ben lontani dalla soluzione.

E’ la politica il mandante, il sistema (e la rete di complicità che lo supporta) è solo l’esecutore. 

Trattasi di un determinato progetto politico: ripristinare attraverso la sistematica compressione dei diritti un modello familiare in cui la donna deve ritornare al suo ruolo “naturale” di madre e moglie (vedi angelo del focolare). Una donna dipendente economicamente dal coniuge, chiamata ad accudire la famiglia e – più in là – ad assistere gli anziani genitori di entrambi.

Il tentativo – a suo tempo scongiurato– di chiudere il cerchio con il disegno di legge 735, più noto come decreto Pillon, ne è la prova.

Ci riproveranno. 

Lo stanno già facendo, con la complicità di una marea di ancelle a cui è stato concesso di pasteggiare ai tavoli del potere.

Per noi rane è tempo di uscire dalla comfort zone…prima che sia troppo tardi, prima dell’ebollizione.

Fino a quel momento, #siamotutteinpericolo  

Pieranna Pischedda, Psicologa

                       

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