Consapevolezze e buone prassi

Il colloquio settimanale (intervallato da vocali e/o da messaggi scritti quasi giornalieri; a volte anche mail) con una nostra assistita mi lascia – anche oggi – con unaconsapevolezza che – giorno dopo giorno – si rafforza: le vittime di violenza domestica (ricordiamo, comprende quella fisica, psicologica, assistita, economica, vittimizzazione secondaria), hanno bisogno non solo di aiuto specializzato, ma di un team che lavori in sinergia.

Detto, devastante reato, si reitera quotidianamente per anni (spesso per decenni) ecolpisce pesantemente numerosi aspetti della vita delle persone che ne sono fatte oggetto.

Quando, “finalmente”, nonpiù in grado di sopportare quel carico disumano di abusi e sofferenze, la vittima decide di porre fine alla situazione crede, per una sorta di ingenuità, probabilmente dovuta alla condizione di isolamento (psicologico e sociale) a cui è stata sottoposta, che questo sia sufficiente a scardinare le sbarre della gabbia in cui si trova.

Niente di meno vero.

Trattasi di un passo importante, questo sì, ma non risolutivo, in special modo per quanto riguarda le conseguenze giudiziarie (penali e civili).

In realtà, prima di “sanare la situazione” passerà tempo, occorrerà molto impegno, tanta consapevolezzae lucidità (non solo della vittima).

Tempoche, le vittime, non hanno (o pensano di non avere) …e neanche la giustizia. 

Posso dire, senza tema dismentita, che durante i colloqui svolti per conto della nostra associazione, debbo continuamente sdoppiarmi per pensare come la Psicologa che sono e come un avvocato (che, chiaramente, non sono).

Più precisamente, lo passo a giustificare l’operato (o il non operato) di altre figure professionali e suggerirestrategie legali che possano aiutare le mie assistite.

In altri termini, mi adopero affinchénon venga meno il rapporto fiduciario cliente-avvocato, necessario ad entrambi per portare avanti una causa con successo, ma anche quello nei confronti delle istituzioni e di alcuni organismi in particolare (e, credetemi, in certi casi è praticamente impossibile).

Ma non per demerito dell’avvocato/professionista di turno (alcuni, poco meritevoli, lo sono), non fraintendetemi, semplicemente perché io trascorro molto più tempo con la vittima e ho (a volte innumerevoli) più informazioni di loro.

Informazioni che non seguono – purtroppo – né una linearità, né i tempi “attesi”.  Anzi, spesso le più significative arrivano inaspettate, quasi sempre alla fine di un incontro dove– magari–si è parlato per lo piùdi episodi poco rilevanti e difficilmente utilizzabili davanti a un giudice.

E’, questa, una situazione tipica: quando i meccanismi di difesa (che ti hanno permesso di resistere per anni alle condotte maltrattanti) si allentano, il rimosso ne approfitta e si riaffaccia alla coscienza. In quei momenti, immancabilmente, vedo passare nel volto di chi mi sta davanti, lo sbalordimento per quella che è – a tutti gli effetti – una rivelazione, seguita quasi immediatamente da una smorfia di dolore…fino al senso di consapevolezza di ciò che si è subìto e il sollievo per averlo tirato “fuori” dalle tenebre dell’inconscio.

Quel sollievo diventerà, dopo avere scacciato il senso di colpa e di vergogna, determinazione, empowerment, desiderio di giustizia.

Nessuna delle altre figure professionali che entrano in contatto con una vittima di violenza domestica potrà usufruire delle mie stesse possibilità di “scoperta”.

Un “tesoretto” di informazioni e conoscenza che – per il bene dell’assistita – dovrei avere la possibilità di condividere, in modo che un altro/a lo possa trasformare in inconfutabili prove giuridiche, quando sarà il momento.

Per questo, quanto prendo in carica una nuova assistita, spero sempre di potermi confrontare con un avvocato/a collaborativo, che intenda lavorare in sinergia ma, soprattutto, non si senta sminuito dal mio contributo.

Pieranna Pischedda, Psicologa.

One thought on “Consapevolezze e buone prassi

  1. Quindi sarebbe bene affidarsi a professionisti che operano in team al fine di rapportarsi tra loro e dare all’assistita la sicurezza di avere un percorso che anche se in diverse discipline (psicoterapia e causa legale) dà la certezza di andare nella stessa direzione.

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