Il piacere maschile …e la magistratura.

Stanno facendo discutere, in questi giorni, le motivazioni di una sentenza che, in appello, ha assolto un giovane dall’accusa di violenza sessuale.

Cercheremo, ancora una volta, di capire quello che è successo e, nel contempo, di entrare nella psicologia di chi ha scritto le motivazioni “incriminate” (passatemi il gioco di parole).

Il nostro ordinamento (garantista), come tutti sanno, prevede tre gradi di giudizio, in modo da limitare al massimo (almeno in teoria) gli errori giudiziari e non è infrequente che il secondo grado ribalti il giudizio del primo.

Fin qui, niente da ridire, però, se le motivazioni della sentenza sono quelle che abbiamo letto sulle varie testate giornalistiche, abbiamo un problema, un gravissimo problema.

“Della violenza non vi è certezza”

I giudici di secondo grado, hanno ritenuto – in maniera opposta, ai colleghi del primo – che il comportamento della presunta vittima non fosse stato adeguatamente chiaro e deciso, a tal punto da trarre in inganno il suo accompagnatore. Nello specifico, si “rimproverano” alla ragazza, alcune azioni e non (“si è fatta accompagnare in bagno…non ha chiuso la porta…si è fatta porgere i fazzoletti”), che avrebbero dato al giovane l’autorizzazione ad “osare”.

Non solo, ma una volta subita “l’avance” da parte del giovane, la ragazza non sarebbe stata in grado – in quanto “sbronza” e “assalita dal panico” di gestire (si, avete letto esattamente) la stessa.

Prima di andare avanti, non vi ricorda niente questa frase? A me, si.

Mi ricorda quello che molte mamme si sentono sistematicamente dire da Assistenti sociali, colleghi/e Ctu, Avvocati della contro parte e Giudici, quando le si accusa di non sapere gestire le inadeguatezze dei padri (magari violenti) e di non “aiutarli” abbastanza a superarle, per cui, se il legame del padre inadeguato con i figli non è buono o inesistente, la colpa è della madre.

Questo, per dire che c’è una logica e una trasversalità in queste aberrazioni: la colpevolizzazione sistematica della vittima a vantaggio dell’agente reato o del padre inadeguato.  

Lo stato “confusionale” (per usare un eufemismo) del collegio giudicante è imbarazzante e dovrebbe – in primis – essere una preoccupazione per l’organo di autocontrollo della categoria.

Non si sta parlando di un gruppo di amici che, dopo la quarta birra (o, se preferite, mojito) e tra un frizzo e un lazzo, si autoassolve.

Trattasi della classe giudicante che decide delle vite dei cittadini, il cui potere dovrebbe essere (per la sicurezza e per le famose garanzie) continuamente monitorato.

Ma entriamo nel merito.

Atteggiamenti interpretati sicuramente dall’imputato come un invito ad osare”

Secondo i giudici, una ragazza che si fa accompagnare per andare a vomitare (cosa puntualmente avvenuta), lascia la porta del bagno socchiusa e si fa passare i fazzoletti dal suo accompagnatore (di cui, evidentemente, si fida), avrebbe dato un segnale di via libera “ad osare”. Forse, i suddetti, non si sono mai ubriacati, forse non hanno mai saputo come ci si sente e quanto poco si sia interessati a “lanciare” segnali di disponibilità, con il vomito (e la nausea) che cerca di risalire dallo stomaco su per l’esofago.  

Il verbo “osare”, in questo contesto, è illuminante rispetto alla concezione del sesso da parte di questi signori. In realtà, tale affermazione implica che per un atto sessuale fra due persone (meglio specificare, visti i chiari di luna) non si considera necessario il consenso di entrambi, la condivisione del desiderio e del piacere, ma sia sufficiente “l’occasione fa l’uomo ladro”.

Tradotto: “la ragazza con cui sto passando la serata ha lo stomaco in subbuglio. Quale migliore occasione, dal momento che – essendo sbronza – mi ha chiesto di accompagnarla in bagno…e ha anche lasciato (non certo per farsi aiutare in caso di bisogno) la porta socchiusa!”

Ora, posso anche concordare che il pensiero del nostro tombeur de femme sia stato esattamente questo, anzi lo è stato di sicuro, il problema è che puzza di reato lontano un km…tranne per chi i reati li dovrebbe perseguire.

Ma non è neanche questo il punto.

Il punto è, invece, che per una significativa percentuale di maschi (e visti i numeri della prostituzione e dei reati sessuali, la maggioranza) il rapporto sessuale non prevede il consenso, tantomeno il piacere dell’altra parte.

L’atteggiamento predatorio, tristemente conosciuto e sdoganato dalla cultura corrente come una “caratteristica” maschile, altro non è che il tentativo di mistificare la realtà e giustificare un pensiero ingiustificabile: il sesso è un’attività la cui mission è la soddisfazione di bisogni fisiologici personali. Ergo, consenso, desiderio e piacere reciproco, possono essere anche contemplati (nei film) ma non sono una “conditio sine qua non”. 

Il piacere procurato alla partner, eventualmente, è una vanteria da spendere nello spogliatoio e nelle cene per soli uomini.

Ma ritorniamo ai giudici.

Quando si fanno i concorsi pubblici per le forze dell’ordine e per l’esercito, i partecipanti – per ovvie e incontestabili ragioni – sono chiamati a superare una batteria di test di personalità.

Questo, INCREDIBILMENTE, non accade, per la Magistratura. Per cui, potremmo ritrovarci ad essere giudicati, inquisiti, indagati, da personalità non adatte a quel ruolo, con problemi personali-familiari-sociali identici a quelli (e quindi, conflitto di interesse) per cui sono chiamati ad emettere sentenze che segnano per sempre la vita delle persone.

Per dire che, lette le motivazioni, l’esigenza di sapere dove e come questo collegio giudicante si è formato e se è psicologicamente adeguato, è doverosa. Doverosa e urgente, dal momento che

  • si avalla una visione predatoria del sesso;
  • una condizione di difficoltà diventa un’occasione (e non un’aggravante);
  • il consenso viene rappresentato da una porta socchiusa;
  • essere ubriaca e spaventata diventa una colpa:

Perché, l’impressione di avere a che fare con un gruppo di adolescenti-casualmente Giudici, che passa i pomeriggi su porn hub a fantasticare su ridicole esibizioni pensando che corrispondano – anche – al desiderio e al piacere femminile, è forte, molto forte.

Tutto questo non è più tollerabile.  

PierAnna Pischedda, Psicologa.

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