Violenza domestica e autore di reato: cosa non funziona?

Alla luce degli ultimi, gravissimi (ancora una volta), fatti di cronaca, non ci resta che constatare definitivamente il fallimento di alcune misure che la nostra legislazione utilizza per “proteggere” la presunta vittima di violenza domestica e, di contro, per monitorare le condotte del presunto colpevole. 

E’ sotto gli occhi di tutti/e che, un banale e generico divieto di avvicinamento (ma anche gli arresti domiciliari) siano considerati dal violento alla stregua di un buffetto sulla guancia. 

E si va avanti così, da una tragedia all’altra, con la consapevolezza che non sarà affatto l’ultima.

La domanda, a questo punto, è d’obbligo: cos’è che non funziona?  

A mio avviso, uno dei limiti che caratterizzano la nostra legislazione sull’argomento è rappresentato da una effettiva non conoscenza (sia del legislatore sia di chi quelle leggi è chiamato ad applicare) e del reato e dell’agente reato.

 Le caratteristiche della violenza domestica, tra l’altro ben esplicitate nella Convenzione di Istanbul (Legge transnazionale, entrata in vigore, in Italia, nel 2014) ma, ai più sconosciuta e totalmente ignorata nelle aule giudiziarie, ci mostra la natura “relazionale” di questo reato (vittime e agente si conoscono, si frequentano, hanno un legame affettivo, spesso vivono/hanno vissuto insieme), che si reitera quotidianamente e sistematicamente, dentro e fuori le mura di casa. 

Non solo, la definizione del reato comprende una serie di azioni/condotte da parte dell’autore che descrivono egregiamente come queste coinvolgano la vita relazionale (ma anche sociale) a 360°e così denominate:

  • Violenza fisica
  • Violenza economica
  • Violenza psicologica
  • Violenza assistita

Basta riconoscerne/rilevarne una affinché si possa parlare di violenza domestica. 

Ma, nella realtà –purtroppo- non è così, anzi. Se ti presenti alle forze dell’ordine senza un’evidente prova di violenza fisica, rischi che le stesse ti ridano in faccia.  

La psicologia dell’agente reato poi, è totalmente ignorata e le misure pensate lo evidenziano. 

E’ palese -dal parte del legislatore- la mancata comprensione delle “motivazioni” che spingono il maltrattante ad agire le sue condotte e l’entità della “determinazione” a perseguirle. Nello specifico,

  • la mancata consapevolezza di commettere reato (anche dal punto di vista culturale);
  • la mancata consapevolezza che le proprie condotte rispondono a delle fragilità personali;
  • l’entità delle fragilità;
  • la paura di affrontarle in prima persona;  
  • l’incapacità e/o il rifiuto di chiedere aiuto per le stesse;  
  • la pervicacia nel perseguire, come soluzione ai propri disagi, tali condotte di reato. 

L’agente reato di violenza domestica, persegue l’obiettivo di un personale, fragile e patologico “equilibrio psichico” basato su un controllo ossessivo, da ottenere a qualsiasi costo e in qualsiasi modo, della vita di chi è legato a lui affettivamente. 

Per questo, non è in grado di fermarsi.

Per questo arriva ad agire gesti irreparabili. 

Per questo non bisogna aspettare una condanna definitiva. 

Per questo bisogna pensare a più efficaci misure di contenimento. 

Bisogna ribaltare l’ottica fin qui adottata: non più misure di protezione che stravolgono ulteriormente l’esistenza delle vittime (ad esempio, case protette) in una vittimizzazione continua, ma pensare strumenti e strutture di contenimento che contemporaneamente coinvolgano il maltrattante in un percorso di consapevolizzazione/gestione/superamento delle proprie fragilità che ne fanno, di fatto, un carnefice. Non è pensabile che un individuo con tali problematiche, possa circolare liberamente senza delle restrizioni efficaci o –a fine pena- uscire dal carcere nelle stesse condizioni in cui vi è entrato.

I danni della violenza domestica hanno un costo sociale ed economico enorme, pensate solo al numero di persone coinvolte: vittime dirette (partners, figli), indirette (familiari e amici), figure professionali che entrano in contatto con essi (forze dell’ordine, PM, Giudici, Avvocati, Medici, Psicologi, Servizi Sociali, Centri anti violenza, Associazioni…). 

Un costo difficilmente sostenibile e quasi tutto sulle spalle di chi la violenza la subisce.

La Convenzione di Istanbul impegna gli Stati ad adottare misure legislative di prevenzione, alla promozione di campagne di sensibilizzazione, a favorire programmi educativi nuovi nonché a formare adeguate figure professionali. 

Di tutto questo, a sette anni dall’entrata in vigore, non vi è traccia, come non vi è traccia di adeguate azioni volte al superamento di stereotipi culturali che giustifichino e/o favoriscano l’esistenza di tali forme di violenza.

Dovremmo pretendere, a gran voce, tutto questo.

La violenza domestica è un problema di noi tutti. 

Pieranna Pischedda


One thought on “Violenza domestica e autore di reato: cosa non funziona?

  1. Davvero assurdo ciò che si legge in questo scritto… Io spero che le leggi cambino e che vengano soprattutto applicate… Da delirio… Io sono davvero arrabbiata! Continuiamo a ricordare le vittime di violenza nulla cambia, si aggiungono altri femminicidi e altri atti di violenze, fisiche e verbali! In un’ epoca così avanzata ,dovrebbe essere già stata messa a tacere!!

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