A distanza di qualche giorno, sentite varie dichiarazioni (tra le altre quella del Presidente del Tribunale di Varese), proviamo, “a mente fredda”, a ragionare sull’accaduto (il figlicidio di un bambino di 7 anni e un tentato femminicidio) e capire cosa non ha funzionato e chi ha – eventualmente – sbagliato.
Il fatto, così riassunto:
- L’assassino aveva a suo carico diverse denunceper maltrattamenti e lesioni;
- Per questo motivo, madre e figlio vivevano con i nonni materni;
- Ma dal punto di vista penale era ancora tutto fermo;
- Un’accusa di tentato omicidio (accoltellamento di un collega di lavoro alla schiena) e gli arresti domiciliari per pericolo di inquinamento dell’incidente probatorio. Non era stato ritenuto pericoloso socialmente.
- L’assassino è un consumatore di cocaina (rinvenuta nell’automobile dopo il figlicidio).
- Era stato attivato il codice rosso;
- I legali dei coniugi avevano mediato un accordo che prevedeva un weekend alternato per il padre;
Entrando nel merito,
- Almeno due denunce (e conseguenti indagini) di cui non sappiamo l’esito nonostante fossero passati diversi mesi. Il Gip, tra l’altro,afferma di non esserne stato al corrente, ipotizzando che il tutto fosse ancora in procura. Conseguenze: le presunte vittime lasciate sole e un presunto colpevole senza nessuna misura di limitazione preventiva.
- Una separazione di fatto ma – se entrambi i coniugi hanno dei legali – suppongo anche in atto. Eppure, il Gip ha affermato di non esserne a conoscenza. Però, la Convenzione di Istanbul prevede, in caso di violenza domestica, l’unificazione dei fascicoli penale e civile: ancora una volta dobbiamo constatare la sua mancata applicazione e la negazione – per le vittime- ad un giusto procedimento e alla protezione dovuta.
- Non vi è ancora consapevolezza e da parte del legislatore e da parte degli apparati giudiziari, delle peculiarità di questo reato. Un reato che si reitera giornalmente e che investe le relazioni intime. Per questo, non è possibile approcciarlo come un reato “normale” e sorvolare sul fatto che l’agente reato ha un legame con le vittime e abita o ha abitato con le stesse. Invece, sappiamo di mesi e/o anni senza che si faccia qualcosa.Nel frattempo, le vittime continuano a subire, a ritirare denunce e a non denunciare più. Il punto è, se “la legge non ammette ignoranza”, per quale motivo, i primi ad ignorare (ma non a pagare) sono gli stessi che la legge dovrebbero farla rispettare? Questo non è ammissibile, non per detti reati.
- L’assassino, oltre alle denunce per maltrattamenti, si trovava agli arresti domiciliari per avere ferito ripetutamente, con un taglierino, un collega di lavoro. Nonostante ciò, non era stato reputato socialmente pericoloso. Mi rendo conto che, non conoscendo le carte, ogni commento da parte mia possa essere considerato fazioso però, credo sia lecito chiedersi quale delitto si debba compiere – in Italia – per essere considerato tale. Faccio sommessamente notare che, sommando il tentato omicidio con le denunce per maltrattamento, “forse” la pericolosità sociale sarebbe stata più evidente e la revoca della responsabilità genitoriale automatica (o no?).
- L’avere trovato della cocaina nella macchina del Paitone ne delinea ulteriormente il profilo di pericolosità e acuisce le mancanze di chi avrebbe dovutoindagare. A questo punto, sapere se le indagini (dopo le denunce di maltrattamento) fossero state realmente effettuate aiuterebbe a capire.
- Se è stato attivato il codice rosso, come è stato possibile arrivare a questo tragico epilogo? Si ha l’impressione, in questo paese,che ci si riempia la bocca con nuove leggi e/o riforme,puntualmente disattese da un personale male o per niente formato. Le cose devono cambiare.
- Le affermazioni del Gip, di non essere al corrente né delle denunce né della separazione lasciano basiti. Quindi, mi chiedo, a chi spettava sapere, al postino? In ogni caso, con quale leggerezza d’animo si può “consegnare” un figlio – per dei giorni (di festa, tra l’altro) – ad un padre agli arresti domiciliari (per i motivi che sappiamo) e, nel contempo, non sapere il motivo per il quale il bambino non abita col padre?
- Ho lasciato per ultimo (ma non per ordine di gravità), il fatto che tra i genitori ci fosse un “accordo” che disponesse il collocamento alla madre e week end alternati per il padre. Questa è, purtroppo, una situazione consolidata (ma fuorilegge). Vuoi per la scarsa conoscenza della Convenzione di Istanbul (sempre lei, ricordiamo, legge sovranazionale, ratificata nel 2013 ed entrata in vigore nel 2014, ben 7 anni fa); vuoi per le indagini (a volte fantasma) con tempi geologici; vuoi per una legge disgraziata (54 /2006 ) e una distorta interpretazione del diritto del minore alla bi-genitorialità che,da un lato costringe le vittime di violenza domestica ad acconsentire che un padre violento possa continuare a frequentare la prole (pena la perdita della custodia dei figli), dall’altro costringe le vittime di violenza assistita e/o diretta a frequentare forzatamente il carnefice e ad essere esposti alla reiterazione delle violenze. Per non parlare poi quando le stesse, come in questo caso, diventano irreparabili.
Questa tragedia – una delle tante – è il manifesto del
- Fallimento legislativo;
- L’ignoranza del fenomeno;
- L’inesistente formazione delle figure (tutte) professionali coinvolte;
- Di una cultura maschio-centrica ancora dura a morire;
- …e di tante connivenze in ambiti diversi.
Non è più possibile accettare tutto questo.
E’ arrivata l’ora della responsabilità e delle colpe.
Basta.
Pieranna Pischedda