Due tragici episodi, in questi ultimi giorni, mi hanno particolarmente colpito.
Il primo, con un epilogo scontato – #losapevamotutte – che ci si aspettava (quasi un riflesso condizionato di rassegnazione), riguarda l’omicidio di una giovane donna al settimo mese di gravidanza e del suo quasi nato (derubricato a “interruzione di gravidanza non consensuale”), da parte del compagno- procreatore (per la legge anche padre e detentore di diritti a prescindere);
Il secondo, se possibile più terribile per le sue implicazioni, arriva dalla Polonia e riguarda la morte atroce di una donna, ufficialmente per shock settico e collasso degli organi, in realtà assassinata dalla legge dello stato che “regola” (si fa per dire) l’interruzione di gravidanza.
Morta perché non gli è stato praticato l’aborto terapeutico nonostante il cuore del feto avesse cessato di battere. Apparentemente, i due casi sembrano avere poco in comune…invece hanno tanto. Nello specifico, la matrice: la cultura patriarcale, sessista e misogina. Ennesime conferme di come il corpo della donna e le sue libertà di scelta siano soggette al controllo (e ai capricci) da parte di un potere istituzionale e culturale, esercitato a seconda delle convenienze.
Nel primo, ci troviamo di fronte al classico caso di un uomo con un profilo di personalità disturbato (ma tipico), caratterizzato da immaturità; “allergia” alle responsabilità; completamente concentrato sui propri “bisogni” e per niente empatico. Negli anni sessanta, probabilmente lo avremmo definito come un simpatico sciupafemmine, un “povero ma bello”, “core de mamma”. Già procreatore (sic!) di una bimba di sei anni (non oso neanche pensare che qualcuno possa averlo considerato genitore adeguato); una compagna ufficiale incinta di 7 mesi; una seconda partner non ufficiale fresca d’aborto (spontaneo o forzato ancora non sappiamo) che, visto l’accaduto, potrebbe averle salvato la vita. Un provetto “inseminatore” completamente deresponsabilizzato ma, vuoi mettere, un padre “naturale” (tanto caro a certa politica) che, ne sono certa, “salutava sempre”. Un assassino che ha buone possibilità di conservare il diritto di essere padre di quella figlia che è “miracolosamente” nata. La donna polacca, ma sarebbe meglio dire l’#uteroaperdere polacco, è il plastico esempio di dove può arrivare un aberrante e impunito potere mascherato da Istituzione. Un potere che non rinuncia in alcun modo al privilegio di decidere e controllare la vita di donne e bambini…a dispetto di tutto e di tutti.
In realtà, trattasi di un vero e proprio assassinio di stato, “democraticamente” perpetrato attraverso una legge scritta ad hoc (come lo è la “nostra” 54/2006 sull’affido condiviso, d’altronde). Nel contempo, nella nostra (ma non di tutti) “patria” ci apprestiamo a perseguire penalmente famiglie non gradite e rovinare innocenti vite che hanno avuto la “disgrazia” di essere stati scientemente voluti e amati invece che da procreatori per caso, da genitori consapevoli e determinati.
Con il beneplacito (e la soddisfazione) di una significativa fetta dell’universo femminile affetta da Sindrome di Stoccolma, che neanche per un attimo ravvisa l’ennesima manipolazione/limitazione del diritto di scelta sul proprio corpo, per il timore di essere esautorata (chissà perché poi) da una maternità assurta a sacra e per questo totalizzante, che è stata ed è tutt’ora la causa principale della sottomessa e oppressa condizione femminile. Senza pensare, neanche per un attimo, che proibire invece che normare ha sempre avuto come risultato di aggravare la situazione proprio delle persone che si intendevano tutelare (la storia degli aborti clandestini, evidentemente, non ha insegnato niente). Come al solito, ci distinguiamo per le nostre decisioni pilatesche, perché la complessità ci fa paura, richiede impegno, riflessione, confronto, scontro…decisione.
Meglio il dogma, il nero e il bianco…e per quanto riguarda l’inevitabile far west che sarà… “a chi tocca non s’ingrugna.”
Il patriarcato e i loro sodali politici ancora una volta ringraziano.
Pieranna Pischedda, Psicologa
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