La “violenza assistita”

La “VIOLENZA ASSISTITA” nelle decisioni di legittimità

CORTE CASS. SEZ. V PENALE 20.11.2020/4.1.2021 N. 74

A margine dell’incontro formativo tenutosi lo scorso 4 maggio 2021, e fruibile nella pagina Facebook dell’associazione Il Laboratorio del possibile – Sezione Eventi – dal titolo Bambini testimoni silenziosi, si riporta di seguito uno stralcio della recente pronuncia di legittimità sulla distinzione tra violenza assistita e violenza percepita.

Con la sentenza sopra richiamata, la Corte di cassazione ha annullato la pronuncia emessa il 11/02/2020 dalla Corte di Appello di Milano, che, a sua volta, confermava quella del Tribunale di Varese del 07/02/2019, in tema di reati di atti persecutori e lesioni personali ai danni della ex convivente, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello affinché venisse accertato, ai soli effetti civili: se ricorra una fattispecie di c.d. “violenza assistita” che abbia determinato ripercussioni negative sullo sviluppo psicofisico dei figli minori, o se ricorra l’aggravante dell’aver commesso il fatto “alla presenza” dei minori (art. 61 c.p., n. 11-quinquies), senza che ne sia derivato uno stato di sofferenza psico-fisica; se, nell’uno o nell’altro caso, sussistano i presupposti per la condanna risarcitoria anche nei confronti dei figli minori, in quanto ritenuti vittime “secondarie” della violenza assistita o percepita.  

Interessante l’argomentazione logico-giuridica seguita dalla Corte nel caso di specie.

La violenza assistita è stata definita anche dall’OMS una grave forma di maltrattamento, riconosciuta anche come aggravante dalla L. n. 119 del 2013, che ha introdotto l’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies; anche la L. n. 69 del 2019 ha qualificato il minore vittima di violenza assistita quale persona offesa del reato di cui all’art. 572 c.p..

Nella vicenda giudiziaria sottoposta al suo esame, i figli avevano assistito a numerosi episodi di violenza e, sul punto, il Tribunale per i minorenni di Milano aveva evidenziato le conseguenze pregiudizievoli della violenza assistita sui minori.

Prosegue la Corte.

L’ordinamento penale ha ormai riconosciuto rilievo anche ai minori c.d. “vittime indirette“, nei casi di “violenza assistita”.

Al riguardo, (…), va rilevato che, già in relazione alla normativa precedentemente vigente, la giurisprudenza di questa Corte si era mostrata concorde nel distinguere l’ambito operativo della “violenza assistita” (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985: “Il delitto di maltrattamenti è configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, come involontari spettatori delle liti tra i genitori che si svolgono all’interno delle mura domestiche (c.d. violenza assistita), sempre che sia stata accertata l’abitualità delle condotte e la loro idoneità a cagionare uno stato di sofferenza psicofisica nei minori spettatori passivi”) o della “violenza percepita” (Sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, dep. 2015, T.E., Rv. 262057), qualificabile come maltrattamenti ex art. 572 c.p., dalle ipotesi, invece, rientranti nell’aggravante del fatto commesso “in presenza” di un minore di anni diciotto di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 11 quinquies.

In proposito non appaia ridondante ricordare che l’elaborazione della figura della “violenza assistita” o “indiretta” (per l’utilizzo di questa ulteriore locuzione, Sez. 6, n. 58833 del 18/10/2017, V.) è stata il punto d’approdo di un’evoluzione giurisprudenziale il cui incipit è costituito dalla decisione con cui la giurisprudenza di legittimità, dopo aver ribadito che l’oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall’art. 572 c.p. non è – o non è solo – l’interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori o violenti, ma anche la difesa della incolumità fisica o psichica dei suoi membri e la salvaguardia dello sviluppo della loro personalità nella comunità familiare (ex plurimis, Sez. 6 del 24/11/2011, n. 24575, Rv. 252906), ha affermato che la condotta incriminata dall’art. 572 c.p. ricomprende non solo la violenza fisica, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962), anche se consistenti in atti che, di per sé soli, non costituiscono reato (Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0., Rv. 267270), aggiungendo che la stessa può essere posta in essere tramite condotte omissive di indifferenza verso elementari bisogni assistenziali e affettivi di una persona, sempre che siano sorrette dal dolo e che da tali omissioni derivi, indubitabilmente, uno stato di sofferenza per la vittima.

Sulla base di tali presupposti e sul rilievo dei consolidati esiti degli studi scientifici concernenti gli effetti negativi sullo sviluppo psichico del minore costretto a vivere in una famiglia in cui si consumino dinamiche di maltrattamento, si è affermato dunque che la condotta di colui che compia atti di violenza fisica contro la convivente integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all’interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo (Sez. 5, n. 41142 del 22/10/2010, Rv. 248904)

E’ stato altresì chiarito che, per la configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti della prole, sub specie di violenza assistita, è necessario, da un lato, che vi siano condotte di violenza reiterate nel tempo, in linea con la natura abituale del reato e con la specifica tutela accordata dalla norma che è finalizzata a proteggere i membri della famiglia da un sistema di vita vessatorio e non dal singolo episodio di violenza, e, dall’altro, che la percezione ripetuta da parte del minore del clima di oppressione di cui è vittima uno dei genitori sia foriera di esiti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata oggettivamente verificabili (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, Rv. 272985; Sez. 6, n. 16583 del 28/03/2019, Rv. 275725 – 03).

La giurisprudenza di legittimità sembra, dunque, avere distinto l’ipotesi della “violenza assistita” – in cui il minore è vittima del reato ai sensi dell’art. 572 c.p. perchè, sebbene non direttamente oggetto delle condotte di maltrattamento, ha comunque subito nella crescita l’effetto negativo causato dall’avere appunto assistito a condotte concretanti una situazione abituale di sopraffazione all’interno del proprio nucleo familiare – dalla differente ipotesi in cui il minore, senza subire un tale effetto, sia stato solo presente durante la commissione di una delle condotte integranti il reato di cui all’art. 572 c.p. o altri delitti contro la libertà personale, affermando l’applicabilità, in tale seconda ipotesi, dell’aggravante disciplinata dall’art. 61 c.p., n. 11 quinquies.

Pronuncia questa che oltre a fare chiarezza sul tema della violenza assistita manifestala costante tendenza verso un diritto penale orientato soprattutto alla valorizzazione di “tipi di vittima” e all’attenzione alla vittima stessa.

In relazione a questo secondo aspetto, il riferimento è soprattutto all’introduzione di norme volte a rafforzare la tutela penale in presenza di soggetti considerati particolarmente vulnerabili.

La tendenza, sulla base dell’attuale diritto positivo, è quella per cui il legislatore sembra concedere spazi di ingresso al concetto ampio di vittima attraverso una riscrittura del concetto di persona offesa con implicazioni sistematiche di rilievo, di cui si possono seguire gli esiti solo attraverso la pratica applicazione di questi nuovi strumenti nelle aule giudiziarie.[1]

avv.ta Maria Lovito

(Foro di Matera)


[1] Violenza assistita e maltrattamenti in famiglia: le modifiche introdotte dal c.d. codice rosso di Antonella Massaro, Giulio Baffa, Alessandro Laurito (Giurisprudenza penale)

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