Stamani ho assistito ad un interessante convegno promosso dall’assessorato alle Pari opportunità del Comune di Roma e organizzato dall’Associazione “Lucha y Siesta” APS dal titolo “Fenomenologia della violenza sessuale, dallacultura dello stupro alla cultura del consenso”.
Intendo soffermarmi su alcuni aspetti che mi hanno particolarmente colpito e sorvolerò sul resto.
Intima convinzione.
Nella disamina della legislazione sulla violenza sessuale, è venuto fuori che il tema è stato affrontato e normato dal legislatore in maniera completa.
Sulla carta.
In realtà, nelle aule dei tribunali le cose non vanno come dovrebbero andare.
La cultura e gli stereotipi che la perpetuano la fanno da padrone mettendo a dura prova (e spesso lo cancellano) il fondante “la legge è uguale per tutti”.
Una parte del problema è dovutaanche alle caratteristiche del processo stesso,che ruota interamente sulle garanzie dell’imputato, per questo definito “imputatocentrico”.
Questo, a prima vista, dovrebbe rassicurare i cittadini innocenti che potrebbero essere coinvolti in un procedimento giudiziario. Il problema si pone quando, per perseguire il rispetto delle garanzie del presunto colpevole, si ignorano i diritti e le garanzie delle presunte vittime che, paradossalmente e particolarmente nei processi per reati sessuali (o violenza domestica e di genere) si trovano ad essere trattate come i reali colpevoli. Non solo ma – in barba a leggi nazionali e Convenzioni internazionali ratificate- nelle nostre aule continuano ad essere tollerate e avallate cattive prassi, frutto di stereotipi culturali, di cultura patriarcale e sessista, dure a morire.
Ciliegina sulla torta, si è parlato di Intima convinzionedel giudice, un principio che consente una valutazione discrezionale “dell’efficacia probante del mezzo istruttorio utilizzato, con il solo obbligo di esplicitare le ragioni nelle motivazioni della sentenza.” (Treccani)
Non sfuggirà ai più come questa prerogativa faccia a pugni con la formazione e come la stessa possa aggirare il rispetto delle buone prassi a favore del mancato divieto di altre (ad esempio l’utilizzo di domande tendenziose e la formulazione di ipotesi dettate da stereotipi culturali, di genere, moralistici).
E’ al principio di intima convinzione del giudice che dobbiamo alcune sentenze e relative, incredibili,motivazioni che tra l’altro ci sono valse diverse condanne a livello europeo.
Formazione.
Ultimamente,si parla molto di Formazione (a pari merito con Resilienza e Narcisismo), nella sostanza, invece, non si vede luce. Da più parti la si invoca, giustamente, per tutta la filiera dei professionisti che si occupano di diritto di famiglia e di violenza domestica (Assistenti Sociali, personale sanitario, Psicologi giuridici, Forze dell’Ordine, Avvocati, Giudici).
E’ intollerabile solo il pensare che chi lavori in questo ambito lo faccia senza essere adeguatamente preparato, ma è altrettanto inaccettabile che ciò sia permesso.
Ritengo, però, che fra queste la più grave sia la mancata formazione del Giudice (perito peritorum). Ciò significherebbe la non conoscenza della legge che si è chiamato ad applicare e la mancata garanzia del diritto ad un processo imparziale e giusto da parte delle parti in causa.
Un giudice non puònonessere formato. Così come dovrebbe essere scevro da pregiudizi e stereotipi.
Chi si occupa di reati di genere dovrebbe essere specializzato e ritenuto idoneo (magari previa batteria di test di personalità).
Detto questo, vorrei finire con alcuni interrogativi: secondo voi,dove finisce la mancanza di formazione e dove comincia il dolo consapevole?
Prendiamo ad esempio la Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro paese nel 2013, dieci anni fa.
Quanto tempo possiamo considerare ragionevole per la formazione/aggiornamento? Dopo quanto tempo si può parlare di Negligenza?
Dopo quanto di Dolo consapevole?
Dopo 10 anni, è ragionevole parlare (ancora) di assenza di formazione?
Chi risponde e in che modo (responsabilità civile, professionale, penale) del diritto negato alla vittima?
Chi dovrebbe risarcire le vittime per un processo ingiusto e per una sentenza sbagliata?
La “deresponsabilizzazione” del giudice rispetto ad una conclamata e reiterata lacuna professionale,è un argomento che andrebbe dibattuto in maniera seria, perché è uno degli elementi del problema.
Pieranna Pischedda, Psicologa
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